Mentre sfrecciamo sulla Garbogera-mobile in direzione di Assago, su quella lingua di asfalto tanto veloce oggi quanto invivibile nei giorni feriali, non posso fare a meno di pensare che in fondo siamo fortunati. Ho visto, credo, almeno cento concerti, e quasi tutti qua a Milano. Qua a 15 km da casa mia. Penso a quei poveracci che si sono sobbarcati trasferte storiche per vedere il loro gruppo preferito, penso a Silvia, che, ieri, da Roma se ne è salita a Verona per vedere il medesimo show che vedrò io stasera, e che si è beccata pure l'acqua, visto che il concerto era all'Arena. Non sputiamo in faccia alla provvidenza: grazie al cielo siamo di Milano, e grazie al cielo è ancora questo il l'ombelico del mondo musicale italiano.
Parcheggio piu rapido del previsto, paninazzo salamella-peperoni-maionese coadiuvato da una pessima Heineken, e via dentro. Settore B6. Già mi immagino di dover vedere il concerto da qualche amena postazione in culo ai lupi, e invece....Siamo a ridosso del palco, alla destra dello stage, a non piu di 15 metri in linea d'aria. Sulle tavole stanno già suonando i My Morning Jacket. Avendo saputo martedi che i supporters ai miei beniamini erano codesti individui, ho cercato di documentarmi come meglio potevo. Qualche mp3 da Emule me ne ha però dato una visione non molto incoraggiante. Un rock molto strano, a tratti pinkfloydeggiante, a tratti new-age. Non ci facevo molto affidamento. Così, mentre la biondissima hostess ci accompagnava ai nostri posti, e io e Marco facevamo gli scemi con lei, i tizi suonavano sul palco. Mettiamola così: qualche buona idea, qualche bel passaggio, ma pezzi troppo lunghi e prolissi, capaci di trasformarsi, causa la loro lunghezza, in autentiche palle al piede. Però se non altro non hanno rotto troppo le scatole, e si sono fatti ascoltare mentre i Garbogeri chiacchieravano sull'avvenenza delle signorine che li circondavano e fumavano di straforo nel palazzetto meneghino.
Ricordo i miei primi concerti. Le attese interminabili. I boati quando veniva scoperta la batteria, o quando veniva issato dietro al drumkit il gigantesco drappo col logo del gruppo. Attese interminabili. Io odio i cambi di palco. Troppo tempo, troppa attesa, snervante attesa. Ma stavolta il cambio è veloce, e soprattutto indolore. Noto subito che il palco è piuttosto scarno. Niente effettoni, come piace ai Pearl Jam, solo file di amplificatori e uno strano schermo cinematografico posto dietro alla postazione della batteria. A sinistra, dove sicuramente suonerà Stone Gossard, una rastrelliera interminabile di chitarre. Sulla destra la medesima scena, ma raddoppiata, visto che le rastrelliere sono due: quella di Mike McCready e quella del buon Jeff Ament. La batteria si presenta scarna: due toms, due timpani, solo tre piatti per il mio eroe Matt Cameron, adorato già dai tempi della militanza nel "giardino del suono", i Soundgarden. Eh, gran gruppo, quello.
E poi ecco, si spengono le luci. Sale la fibrillazione in tutto il palazzetto. "Vedder sarà ubiraco, come al solito" profetizza Adriano. Parte l'intro di Ten, quello che precedeva la grandiosa Once, e io mi dico che se iniziano da lì, posso anche già andarmene felice. E invece, mentre i ragazzi arrivano sul palco, l'opener spetta a Go. Che salto indietro nel tempo, al concerto di 6 anni fa, alle nottate in macchina ad ascoltare Jeremy e Porch. Sembrano in forma, i ragazzi. Vedder è ubriaco, si vede subito. Adri aveva ragione. Il buon Eddie non si smentisce mai: ubriaco sei anni fa, ubriaco stasera. Eppure, nonostante la barcollante andatura, e le parole biascicate, tiene il palco alla grande. La voce non si è mossa da dove era quindici anni fa. Forse il piu grande frontman che il rock moderno ricordi, o fra i piu grandi. E si prosegue. Arrivano Last Exit, Save You, la nuova World Wide Suicide, che dal vivo risulta persino bella, mentre su cd mi ha deluso molto. Eddie comincia a parlare col pubblico in italiano. Ha degli appunti che si porta avanti e indietro. Si è fatto scrivere le traduzioni in italiano, lo stronzo. Eppure il pubblico si esalta col suo schifoso italo-americano. Il primo sussulto a me e ai miei companeros viene con Corduroy. La conosciamo a memoria, la abbiamo suonata per anni. E via, Lorenzo attacca a a cantare. E poi Severed Hand, Unemployable, l'immortale Even Flow. Ed ecco un altro picco della serata. Parte l'arpeggio di I Am Mine, e io me ne vado dal mondo, mi estraneo totalmente. E ancora, mentre Vedder fa su e giu con la sua brava bottiglia di vino, arrivano Man of the Hour e MFC. Ed ecco l'altro Garbogera moment: Daughter. Questa la suoniamo ancora oggi, ed è uno di quei pezzi che ci accompagnano da anni ed anni. I nostri eroi ci attaccano, brillantemente, la cover dei Pink Floyd Another Brick in the Wall. Vedder ne approfitta per lanciare la frecciatina di rito a J.W.Bush, che, come noto, non ama. President Bush leave this world alone. E mentre Marco comincia a manifestare il desiderio di sentire Glorified G, lo show continua. Faithful, e poi la devastante Comatose. E poi ancora State of Love and Trust, altro cavallo di battaglia dei vecchi GarbogeraDrive, all'epoca noti come JFK. E ancora una delle mie favorite, Why Go, dove Matt Cameron e McCredy si lanciano in due assoli favolosi. E il pubblico salta, oscilla, alza le mani, poga, canta, urla. Uno spettacolo nello spettacolo. Con il pezzo, i Pearl Jam se ne vanno.
Passano 5 minuti di buio e di cori, prima che il solo Eddie rientri, Gibson sotto braccio, e racconti di come sia legato a Milano. Sei anni fa, proprio nella nostra bella città delle nebbie, una notte di Settembre, e in questo medesimo palazzetto, conobbe la sua attuale compagna. E a lei ed alla figlia dedica Picture in a Frame, cover di Tom Waits. Ed ancora Parachutes, prima dell'arrivo del momento piu toccante dello show. Quando parte l'arpeggio di Black io sono momentaneamente in pausa ai servizi igienici. Ma mi catapulto subito al mio posto, per assaporare una delle piu belle ballad dei ragazzi di Seattle. Emozionante. Un'assolo lunghissimo in cui Mike sfida il bravissimo Adam Kaspar, arroulato all'hammond per il tour. Da brividi il loro duetto, fino a che la canzone si spegne. Ma la gente va avanti, canta il ritornello. Due minuti in cui i Pearl Jam si fermano, abbassano i volumi, e si godono la platea milanese che li omaggia. Sono loro stavolta ad applaudire noialtri, fino a che scoppia il boato di ringraziamento dei presenti, per un pezzo a dir poco da pelle d'oca. E dopo Crazy Mary, originariamente di Victoria Williams, ecco l'altra pietra miliare, Given to Fly, ancora da brividi. E poi la memorabile e indimenticabile Alive. Pezzo nel quale, un sempre piu ciucco Vedder si arrampica su una fila di amplificatori, e, nel tentativo di scendere, ruzzola rovinosamente a terra sulla schiena. Ma idiota, che ti vai ad ammazzare proprio durante Alive?? I ragazzi salutano nuovamente e se ne vanno.
Ma tornano subito dopo, per il gran finale. Apre Do the Evolution, seguite da Big Wave e Leash, ripescata da VS. Ed eccolo il gran finale. Immancabile la cover di Neil Young, Rockin' in the Free World. Un pezzo che oramai tutti identificano come un marchio di fabbrica dei Pearl Jam, e per chiudere, ancora la storica Yellow Led Better, con i riflettori già accesi, ma senza che nessuno si muova. Poi, appena i ragazzi scendono dal palco, via di corsa. Niente casino, in tangenziale. E al ritorno, in macchina, i pezzi mancantio ad un grande show: Garden, Insignificance, la tanto richiesta da Marco Glorified G....
Per chi vuole rivedersi Black a Milano....
http://www.youtube.com/watch?v=tKnR0Jbwx40